CHAT WHATSAPP DEL CONIUGE COME PROVA DELLA SEPARAZIONE? LA CASSAZIONE DICE NO

La sentenza rappresenta un campanello d'allarme per chi pensa di poter utilizzare liberamente i messaggi privati del coniuge come prova in tribunale.

La Cor­te di Cas­sa­zio­ne ha recen­te­men­te sta­bi­li­to un impor­tan­te prin­ci­pio che riguar­da l’u­so del­le chat Wha­tsApp e Tele­gram nei pro­ce­di­men­ti di sepa­ra­zio­ne.
Con una sen­ten­za depo­si­ta­ta il 20 feb­bra­io 2025, i giu­di­ci han­no chia­ri­to che non si pos­so­no uti­liz­za­re mes­sag­gi pri­va­ti pre­si dal tele­fo­no del coniu­ge sen­za ave­re pro­ve cer­te del­la legit­ti­ma acqui­si­zio­ne.


Il caso riguar­da­va una cop­pia in fase di sepa­ra­zio­ne dove la moglie ave­va pre­sen­ta­to del­le con­ver­sa­zio­ni Wha­tsApp del mari­to per dimo­stra­re la sua infe­del­tà. A sup­por­to, ave­va por­ta­to la testi­mo­nian­za di un’a­mi­ca che ave­va dichia­ra­to che i coniu­gi si scam­bia­va­no abi­tual­men­te le pas­sword dei tele­fo­ni.
La Cas­sa­zio­ne ha sta­bi­li­to che que­sta testi­mo­nian­za non è suf­fi­cien­te per ren­de­re uti­liz­za­bi­li le chat come pro­va. Non basta che qual­cu­no dica di aver sapu­to del­l’e­si­sten­za di un accor­do tra i coniu­gi per la con­di­vi­sio­ne del­le pas­sword: ser­ve una pro­va più con­cre­ta e diret­ta che dimo­stri la legit­ti­ma acqui­si­zio­ne dei mes­sag­gi.


Que­sta deci­sio­ne è mol­to impor­tan­te per­ché tute­la la pri­va­cy del­le comu­ni­ca­zio­ni pri­va­te, anche all’in­ter­no del matri­mo­nio. Il fat­to di esse­re spo­sa­ti non signi­fi­ca auto­ma­ti­ca­men­te ave­re acces­so a tut­te le comu­ni­ca­zio­ni del part­ner. La Cor­te sot­to­li­nea che il dirit­to alla riser­va­tez­za del­le comu­ni­ca­zio­ni è un dirit­to fon­da­men­ta­le che va rispet­ta­to anche nei pro­ce­di­men­ti di sepa­ra­zio­ne.


La sen­ten­za rap­pre­sen­ta un cam­pa­nel­lo d’al­lar­me per chi pen­sa di poter uti­liz­za­re libe­ra­men­te i mes­sag­gi pri­va­ti del coniu­ge come pro­va in tri­bu­na­le. È un moni­to impor­tan­te nel­l’e­ra digi­ta­le, dove sem­pre più spes­so le pro­ve del­le cri­si matri­mo­nia­li ven­go­no cer­ca­te nei tele­fo­ni e nei social media.

Il mes­sag­gio del­la Cas­sa­zio­ne è chia­ro: la ricer­ca del­la veri­tà nei pro­ce­di­men­ti di sepa­ra­zio­ne deve avve­ni­re nel rispet­to dei dirit­ti fon­da­men­ta­li alla pri­va­cy e alla riser­va­tez­za del­le comu­ni­ca­zio­ni. Non tut­to ciò che si tro­va nel tele­fo­no del part­ner può esse­re usa­to come pro­va in tri­bu­na­le, anche se potreb­be sem­bra­re rile­van­te per la cau­sa.

Avv. Fran­ce­sco Frez­za

Via Ambra, 481038 Tren­to­la Ducen­ta (Caser­ta)


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