La pensione di reversibilità e l’indennità di fine rapporto (TFR) sono due tematiche rilevanti nel contesto del divorzio, che spesso generano domande e dubbi . La pensione di reversibilità rappresenta un diritto economico riconosciuto al coniuge superstite in seguito alla morte dell’altro, ma nel caso di divorzio, le regole per l’accesso a tale beneficio possono cambiare. La legge italiana prevede infatti condizioni specifiche affinché l’ex coniuge possa continuare a percepire la reversibilità, come non risposarsi e la titolarità di un assegno divorzile.
Esaminare questi due istituti giuridici è cruciale per comprendere i diritti e i doveri economici che emergono dopo il divorzio, garantendo un quadro chiaro delle tutele previste dall’ordinamento giuridico italiano per gli ex coniugi.
A questo punto non resta altro che fare un’analisi dettagliata di questi due aspetti.
Pensione di Reversibilità nel Divorzio
COSA È?
La pensione di reversibilità è una prestazione previdenziale che viene erogata ai superstiti di un lavoratore o pensionato deceduto. Generalmente, questa pensione spetta al coniuge superstite (o ex coniuge), ai figli minorenni o a carico, e in alcuni casi ai genitori o ai fratelli del deceduto.
Ex Coniuge e Pensione di Reversibilità
Quando c’è un divorzio, l’ex coniuge può avere diritto alla pensione di reversibilità del coniuge defunto, ma solo a determinate condizioni:
- Il divorzio deve essere stato pronunciato: l’ex coniuge deve aver ottenuto un divorzio definitivo.
- Non deve essersi risposato: se l’ex coniuge si risposa, perde il diritto alla pensione di reversibilità.
- L’ex coniuge deve ricevere un assegno divorzile: il diritto alla pensione di reversibilità è strettamente collegato al fatto che l’ex coniuge riceva un assegno di mantenimento al momento del decesso del coniuge.
In presenza di più coniugi (ad esempio, un coniuge superstite e un ex coniuge), la pensione di reversibilità viene ripartita tra i due coniugi in proporzione alla durata dei rispettivi matrimoni. Tuttavia, la decisione finale sulla divisione della pensione spetta al giudice, che può tener conto anche di altri fattori, come la situazione economica delle parti.
Indennità di Fine Rapporto (TFR) nel Divorzio
L’indennità di fine rapporto (TFR), nota anche come liquidazione, è una somma che il lavoratore matura durante il rapporto di lavoro e che viene versata al momento della cessazione dello stesso. Questa indennità ha rilevanza anche nel divorzio, in quanto può essere ripartita tra gli ex coniugi.
Diritti dell’Ex Coniuge al TFR
L’ex coniuge può ottenere una quota del TFR dell’altro coniuge in virtù dell’articolo 12-bis della Legge 898/1970 (riformata dalla Legge 74/1987), che regola gli aspetti economici del divorzio. I requisiti sono i seguenti:
- Deve percepire un assegno divorzile: come nel caso della pensione di reversibilità, l’ex coniuge ha diritto a una parte del TFR solo se riceve un assegno di mantenimento.
- Il rapporto di lavoro deve essere terminato dopo la domanda di divorzio: il diritto al TFR sorge solo se il rapporto di lavoro del coniuge che deve pagare il TFR si è concluso dopo l’inizio del processo di divorzio.
La Quota del TFR Spettante
La legge stabilisce che l’ex coniuge ha diritto a una quota del 40% dell’indennità totale di fine rapporto maturata durante gli anni di matrimonio. Se il TFR viene percepito durante il matrimonio, l’ex coniuge non ha più diritto a una percentuale.
Ad esempio, se un matrimonio è durato 15 anni e il coniuge ha maturato una liquidazione di 100.000 euro durante quegli anni, l’ex coniuge ha diritto al 40% di questa somma, ovvero 40.000 euro.
Arrivati a questo punto è importante spiegare a cosa si fa riferimento con il termine “pensioni per superstiti”
Pensione di reversibilità e pensione indiretta
Questo è un beneficio che l’INPS fornisce ai membri della famiglia del defunto. Di solito, può essere di due tipi diversi, a seconda che la persona deceduta fosse già pensionata o avesse stipulato un’assicurazione sulla vita. Nel primo caso, parliamo di pensione di reversibilità, nel secondo, di pensione indiretta.
La pensione di reversibilità è data al coniuge divorziato del defunto, e la somma è determinata proporzionalmente all’importo che il defunto riceveva. D’altro canto, la pensione indiretta può essere assegnata al coniuge se l’assicurato aveva accumulato almeno quindici anni di contributi assicurativi e pensionistici, o solo cinque anni di anzianità assicurativa e contributiva, di cui almeno tre nell’ultimo quinquennio prima della morte.
Pensione di reversibilità coniuge divorziato
Focalizzandoci su quello che riguarda le pensioni di reversibilità, è importante sottolineare che, sotto certe condizioni, tali pensioni possono essere estese anche all’ex coniuge dopo il divorzio.
Ampliando il discorso, è importante notare che la pensione di reversibilità è un diritto che ha l’obiettivo di fornire un sostegno economico ai familiari del lavoratore deceduto. Nel caso dei coniugi divorziati, queste regole cercano di bilanciare il diritto di sostegno economico del coniuge divorziato con il rispetto del nuovo stato civile del coniuge sopravvissuto. Tuttavia, le condizioni specifiche possono variare a seconda della legge e della situazione individuale, pertanto è sempre consigliabile consultare un professionista legale per capire i propri diritti in queste situazioni.
Come si calcola la pensione di reversibilità in relazione al coniuge divorziato?
Come accennato precedentemente, l’ammontare delle pensioni di reversibilità è proporzionale alla pensione che il coniuge divorziato riceveva quando era ancora in vita. È importante tener conto anche della durata del matrimonio e del periodo durante il quale è stata erogata la pensione del coniuge defunto.
Durante la calcolazione del periodo del matrimonio, anche il periodo di separazione legale è considerato, in quanto si ritiene che il legame matrimoniale sia terminato solo alla conclusione del procedimento di divorzio, cioè quando la sentenza di divorzio viene emessa.
Dal punto di vista finanziario, ci sono vari fattori che devono essere presi in considerazione. Questi includono:
- Le condizioni economiche delle parti coinvolte;
- L’ammontare dell’assegno di mantenimento versato all’ex coniuge divorziato;
- Eventuali periodi di convivenza precedenti al matrimonio e la loro durata;
- La durata dei rispettivi matrimoni.
Ampliando l’argomento, è cruciale comprendere che le pensioni di reversibilità sono progettate per garantire un sostegno finanziario al coniuge sopravvissuto. Tuttavia, nel contesto del divorzio, il calcolo dell’importo diventa più complesso. Pertanto, l’assegno di mantenimento, le condizioni economiche delle parti, la durata del matrimonio e dei periodi di convivenza prima del matrimonio, tra gli altri fattori, diventano essenziali. La valutazione di questi aspetti contribuisce a determinare l’ammontare dell’importo della pensione di reversibilità e a garantire che sia equo e giusto per tutte le parti coinvolte.
E cosa accade se l’ex marito o moglie fossero passati a nuove nozze?
È abbastanza comune che il coniuge defunto si possa essere risposato dopo il divorzio. In tali circostanze, la pensione di reversibilità deve essere suddivisa tra un maggior numero di beneficiari, dato che sia l’ex coniuge divorziato e sia quello superstite hanno diritto a tale pensione. Per determinare la divisione dell’importo, si prendono in considerazione la durata di entrambi i matrimoni e le condizioni economiche dell’ex coniuge divorziato e di quello superstite.
Una recente sentenza della Cassazione ha chiarito che “la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell’istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche e dell’entità dell’assegno divorzile (Cass., 28 aprile 2020, n. 8263)”.
La situazione è diversa se il coniuge defunto avesse vissuto per un periodo con un’altra persona. In questo caso, l’ultimo partner non avrà diritto a ricevere alcuna pensione di reversibilità.
Prima di avviarci alla conclusione dell’articolo, dobbiamo soffermarci sulle problematiche affrontare e poi risolte dalla Corte di Cassazione riguardo un tema di primaria importanza.
Cosa dice la CASSAZIONE riguardo il concorso tra coniuge superstite e coniuge divorziato?
VEDIAMOLO INSIEME.
Riguardo al concorso tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato, originariamente la Corte di Cassazione con una pronuncia risalente al 2008 n. 23880 aveva sostenuto come in caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte da parte del lavoratore, laddove concorressero l’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile unitamente al coniuge superstite entrambi avrebbero potuto beneficiare dell’indennità per la cui ripartizione doveva aversi riguardo alla durata dei rispettivi matrimoni.
Sebbene la Corte di Cassazione avesse enunciato tali criteri rifacendosi in particolar modo a quello di matrice legale, di recente i giudici di legittimità sono tornati sul tema enunciandone degli altri, tra cui quello della convivenza. In particolare, i giudici sono stati investiti della questione a seguito di una pronuncia della Corte d’Appello di Potenza la quale non avendo fatto esatta applicazione dei criteri enunciati precedentemente dalla Suprema Corte di Cassazione, aveva previsto l’assegnazione della somma pari al 40% dell’intera indennità a favore del coniuge divorziato già beneficiario dell’assegno divorzile, sulla base dei soli anni di matrimonio coincisi con il rapporto di lavoro, e limitandosi poi a suddividere la restante somma tra il coniuge superstite e i figli secondo lo stato di bisogno di ciascuno di essi. Ai fini, inoltre, della determinazione a favore del coniuge superstite, ricorrente per Cassazione, la Corte territoriale aveva tenuto conto dei soli anni di matrimonio trascorsi senza tuttavia tenere in considerazione anche la durata della convivenza. Si riteneva, invero, che la convivenza prima del matrimonio non avesse fatto venire meno la comunione di vita tra gli ex coniugi.
La Corte di Cassazione, prendendo le distanze dall’appena esposta ripartizione nell’ordinanza 21247/2021 detta i principi secondo cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto determinare la quota spettante a ciascun coniuge. La quota del coniuge divorziato, in altre parole, avrebbe dovuto insistere ed incidere eventualmente sulla quota del coniuge superstite, senza che questa venisse calcolata autonomamente sulla sola base del 40% così come previsto dalla legge.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione il trattamento di fine rapporto deve essere dapprima suddiviso in parti uguali tra il coniuge superstite e i figli del lavoratore deceduto laddove tutti gli aventi diritto versino in un medesimo stato di bisogno, e solo successivamente sulla quota così come determinata a favore del coniuge superstite deve essere calcolata quella a favore del coniuge divorziato, tenuto conto della durata del matrimonio e laddove esistente della durata della convivenza laddove stabile ed effettiva.
La Corte di Cassazione, pertanto, ha enucleato il seguente principio di diritto cui la stessa Corte territoriale sarà chiamata ad attenersi nella corretta determinazione dell’indennità: “in tema di regolazione della crisi coniugale, mentre l’articolo 12 bis della legge 898/70 si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l’ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge e tale percentuale è pari al quaranta per centro dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; l’art. 9, comma 3, della legge 898/70 regola il caso del concorso con il coniuge superstite, aventi i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell’assegno divorzile”. La determinazione va effettuata non solo alla luce degli anni di matrimonio ma anche in virtù della convivenza laddove il coniuge interessato provi la stabilità e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il lavoratore deceduto. Viene in essere, così, un nuovo ed importante criterio giurisprudenziale nella determinazione della quota spettante ai coniugi, consistente nella durata stabile ed effettiva della convivenza.
Conclusioni
La pensione di reversibilità e l’indennità di fine rapporto sono due temi centrali nelle questioni economiche post-divorzio, che coinvolgono aspetti delicati della vita finanziaria dei coniugi separati.
La pensione di reversibilità, destinata al coniuge superstite in caso di morte dell’ex partner, è riconosciuta anche al coniuge divorziato, a patto che sussistano determinati requisiti, tra cui il diritto agli alimenti. Questo beneficio garantisce una continuità economica, ma richiede l’analisi della durata del matrimonio, della situazione economica del coniuge superstite e di eventuali altri aventi diritto.
L’indennità di fine rapporto (TFR) rappresenta, invece, una liquidazione dovuta al lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Nel contesto del divorzio, una quota del TFR può essere attribuita al coniuge divorziato, purché tale diritto sia stato acquisito durante il matrimonio. Anche in questo caso, le circostanze variano in base a fattori quali il tipo di lavoro e gli accordi stipulati tra le parti.
In conclusione, il trattamento di pensione di reversibilità e TFR post-divorzio richiede un’analisi specifica del caso per garantire un’equa divisione delle risorse economiche e salvaguardare i diritti dei coniugi. È fondamentale che i soggetti coinvolti si informino adeguatamente sui propri diritti, valutando sia la normativa vigente che i possibili accordi tra le parti, per tutelarsi in queste delicate fasi della vita familiare.
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Avv. Francesco Frezza
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