TFR E DIVORZIO: QUANDO IL FONDO PENSIONE CAMBIA LE REGOLE DEL GIOCO

La questione dimostra come il diritto debba costantemente adeguarsi all'evoluzione della società e dell'economia.

Una recen­te deci­sio­ne del­la Cas­sa­zio­ne ha intro­dot­to una svol­ta signi­fi­ca­ti­va nel pano­ra­ma dei dirit­ti patri­mo­nia­li lega­ti al divor­zio, con impli­ca­zio­ni che potreb­be­ro toc­ca­re mol­te fami­glie ita­lia­ne. La sen­ten­za n. 20132 del 18 luglio 2025 ha sta­bi­li­to un prin­ci­pio che meri­ta di esse­re com­pre­so anche da chi non ha una for­ma­zio­ne giu­ri­di­ca: se il TFR vie­ne tra­sfe­ri­to a un fon­do pen­sio­ne pri­ma del­la doman­da di divor­zio, l’ex coniu­ge per­de il dirit­to alla sua quo­ta del 40%.

Che cos’è il TFR e perché è importante nel divorzio?

Il Trat­ta­men­to di Fine Rap­por­to, comu­ne­men­te chia­ma­to TFR o “liqui­da­zio­ne”, è quel­la som­ma che ogni lavo­ra­to­re dipen­den­te accu­mu­la duran­te la sua car­rie­ra lavo­ra­ti­va. Si trat­ta di una sor­ta di “sal­va­da­na­io” che cre­sce mese dopo mese, pari a cir­ca una men­si­li­tà di sti­pen­dio all’an­no, che vie­ne liqui­da­to quan­do il rap­por­to di lavo­ro ter­mi­na.

Dal 1987, la leg­ge ita­lia­na rico­no­sce all’ex coniu­ge divor­zia­to un dirit­to par­ti­co­la­re: se rice­ve un asse­gno di divor­zio e non si è rispo­sa­to, ha dirit­to al 40% del TFR matu­ra­to dal­l’al­tro coniu­ge duran­te gli anni di matri­mo­nio. Que­sto dirit­to, disci­pli­na­to dal­l’ar­ti­co­lo 12-bis del­la leg­ge sul divor­zio, nasce da una logi­ca sem­pli­ce: il TFR si for­ma anche gra­zie al con­tri­bu­to indi­ret­to del coniu­ge che maga­ri ha rinun­cia­to alla pro­pria car­rie­ra per occu­par­si del­la fami­glia.

La rivoluzione dei fondi pensione

Negli ulti­mi decen­ni, il pano­ra­ma pre­vi­den­zia­le ita­lia­no è cam­bia­to pro­fon­da­men­te. Sem­pre più lavo­ra­to­ri scel­go­no di desti­na­re il pro­prio TFR a fon­di di pre­vi­den­za com­ple­men­ta­re, quel­li che comu­ne­men­te chia­mia­mo “fon­di pen­sio­ne”. Que­sta scel­ta, rego­la­men­ta­ta dal decre­to legi­sla­ti­vo n. 252 del 2005, per­met­te di otte­ne­re una pen­sio­ne inte­gra­ti­va oltre a quel­la pub­bli­ca.

Quan­do il TFR vie­ne con­fe­ri­to a un fon­do pen­sio­ne, però, cam­bia natu­ra giu­ri­di­ca. Non è più un’in­den­ni­tà che il dato­re di lavo­ro deve paga­re alla fine del rap­por­to di lavo­ro, ma diven­ta un inve­sti­men­to pre­vi­den­zia­le che sarà resti­tui­to sot­to for­ma di pen­sio­ne inte­gra­ti­va quan­do il lavo­ra­to­re andrà in pen­sio­ne.

La decisione della Cassazione: il timing è tutto

La Supre­ma Cor­te ha chia­ri­to che que­sto cam­bia­men­to di natu­ra ha con­se­guen­ze deci­si­ve per i dirit­ti del­l’ex coniu­ge. Se il TFR vie­ne tra­sfe­ri­to al fon­do pen­sio­ne pri­ma che sia pre­sen­ta­ta la doman­da di divor­zio, l’o­pe­ra­zio­ne è per­fet­ta­men­te legit­ti­ma e l’al­tro coniu­ge non può più riven­di­ca­re alcun dirit­to su quel­le som­me.

Il ragio­na­men­to dei giu­di­ci è linea­re: l’ar­ti­co­lo 12-bis del­la leg­ge sul divor­zio par­la di “inden­ni­tà di fine rap­por­to per­ce­pi­ta”, ma quan­do il TFR è già sta­to con­fe­ri­to a un fon­do pen­sio­ne, al momen­to del­la ces­sa­zio­ne del lavo­ro non c’è più nul­la da per­ce­pi­re a tito­lo di liqui­da­zio­ne. Il lavo­ra­to­re rice­ve­rà inve­ce, anni dopo, una pre­sta­zio­ne pen­sio­ni­sti­ca di natu­ra com­ple­ta­men­te diver­sa.

Le conseguenze pratiche: vincitori e perdenti

Que­sta inter­pre­ta­zio­ne apre sce­na­ri mol­to diver­si a secon­da del tem­pi­smo del­le scel­te. Fac­cia­mo alcu­ni esem­pi con­cre­ti:

Sce­na­rio 1 — TFR tra­sfe­ri­to pri­ma del divor­zio: Mario e Giu­lia si spo­sa­no nel 2010. Nel 2020, Mario deci­de di tra­sfe­ri­re il suo TFR al fon­do pen­sio­ne azien­da­le. Nel 2023, Giu­lia chie­de il divor­zio. Quan­do Mario andrà in pen­sio­ne, Giu­lia non avrà dirit­to ad alcu­na quo­ta del­la sua pen­sio­ne inte­gra­ti­va, per­ché il TFR era già sta­to con­fe­ri­to al fon­do pri­ma del­la doman­da di divor­zio.

Sce­na­rio 2 — TFR tra­sfe­ri­to dopo il divor­zio: Stes­sa situa­zio­ne, ma Mario tra­sfe­ri­sce il TFR al fon­do pen­sio­ne nel 2024, dopo che Giu­lia ha già pre­sen­ta­to la doman­da di divor­zio. In que­sto caso, l’o­pe­ra­zio­ne potreb­be esse­re con­si­de­ra­ta un ten­ta­ti­vo di sot­tra­zio­ne patri­mo­nia­le e quin­di esse­re impu­gna­ta.

Sce­na­rio 3 — TFR man­te­nu­to in azien­da: Se Mario non tra­sfe­ri­sce mai il TFR a un fon­do pen­sio­ne, quan­do ces­se­rà il rap­por­to di lavo­ro Giu­lia avrà dirit­to al 40% del­la liqui­da­zio­ne matu­ra­ta duran­te gli anni di matri­mo­nio.

Un correttivo parziale: la revisione dell’assegno

La Cas­sa­zio­ne ha pre­vi­sto una for­ma di tute­la, ma mol­to più debo­le e incer­ta. Le futu­re pre­sta­zio­ni pen­sio­ni­sti­che deri­van­ti dal TFR con­fe­ri­to al fon­do potran­no esse­re con­si­de­ra­te per una even­tua­le revi­sio­ne del­l’as­se­gno divor­zi­le. Tut­ta­via, que­sta pos­si­bi­li­tà pre­sen­ta diver­si svan­tag­gi:

- Richie­de un nuo­vo giu­di­zio, con tut­ti i costi e i tem­pi che com­por­ta

- Non garan­ti­sce un dirit­to cer­to, ma dipen­de dal­la valu­ta­zio­ne discre­zio­na­le del giu­di­ce

- Por­ta a un even­tua­le aumen­to men­si­le del­l’as­se­gno, non a una som­ma imme­dia­ta

- È subor­di­na­ta al fat­to che l’ex coniu­ge vada effet­ti­va­men­te in pen­sio­ne e per­ce­pi­sca la pre­sta­zio­ne inte­gra­ti­va

Le lacune del sistema normativo

La deci­sio­ne del­la Cas­sa­zio­ne met­te in evi­den­za un pro­ble­ma più ampio: l’ar­ti­co­lo 12-bis del­la leg­ge sul divor­zio fu scrit­to in un’e­po­ca in cui il TFR rima­ne­va qua­si sem­pre accan­to­na­to pres­so il dato­re di lavo­ro o, al mas­si­mo, veni­va tra­sfe­ri­to all’INPS. La pre­vi­den­za com­ple­men­ta­re era anco­ra poco dif­fu­sa e il legi­sla­to­re non ave­va pre­vi­sto que­sta evo­lu­zio­ne del siste­ma.

Oggi, inve­ce, milio­ni di lavo­ra­to­ri ade­ri­sco­no a for­me di pre­vi­den­za inte­gra­ti­va, spes­so su base col­let­ti­va attra­ver­so accor­di azien­da­li. Que­sta tra­sfor­ma­zio­ne del pano­ra­ma pre­vi­den­zia­le ha crea­to una zona gri­gia che la giu­ri­spru­den­za sta cer­can­do di col­ma­re, ma con solu­zio­ni che ine­vi­ta­bil­men­te favo­ri­sco­no alcu­ni sog­get­ti a sca­pi­to di altri.

Strategie di pianificazione patrimoniale

La sen­ten­za apre la stra­da a for­me di pia­ni­fi­ca­zio­ne patri­mo­nia­le “pre-divor­zio” del tut­to legit­ti­me. Un coniu­ge che pre­ve­da una pos­si­bi­le cri­si matri­mo­nia­le potreb­be deci­de­re di tra­sfe­ri­re il pro­prio TFR a un fon­do pen­sio­ne per sot­trar­si al futu­ro obbli­go di con­di­vi­sio­ne. Que­sta stra­te­gia è per­fet­ta­men­te lega­le se attua­ta pri­ma del­la pre­sen­ta­zio­ne del­la doman­da di divor­zio, ma sol­le­va evi­den­ti que­stio­ni di equi­tà.

D’al­tro can­to, la deci­sio­ne potreb­be anche incen­ti­va­re scel­te pre­vi­den­zia­li più con­sa­pe­vo­li, spin­gen­do i lavo­ra­to­ri a valu­ta­re con mag­gio­re atten­zio­ne i van­tag­gi del­la pre­vi­den­za com­ple­men­ta­re non solo dal pun­to di vista del ren­di­men­to, ma anche sot­to il pro­fi­lo del­la pro­te­zio­ne patri­mo­nia­le.

Cosa fare in pratica

Per chi si tro­va in una situa­zio­ne di cri­si matri­mo­nia­le, la tem­pi­sti­ca diven­ta cru­cia­le:

- Se si sta valu­tan­do il divor­zio: è impor­tan­te sape­re se il coniu­ge ha già tra­sfe­ri­to il TFR a un fon­do pen­sio­ne e quan­do lo ha fat­to

- Se si è già in fase di sepa­ra­zio­ne: con­vie­ne acce­le­ra­re i tem­pi per la pre­sen­ta­zio­ne del­la doman­da di divor­zio, pri­ma che l’al­tro coniu­ge pos­sa tra­sfe­ri­re il TFR

- Se si vuo­le ade­ri­re a un fon­do pen­sio­ne: è bene valu­ta­re anche le impli­ca­zio­ni fami­lia­ri di que­sta scel­ta, non solo quel­le pre­vi­den­zia­li

Verso una riforma necessaria

La deci­sio­ne del­la Cas­sa­zio­ne, pur essen­do tec­ni­ca­men­te cor­ret­ta nel­l’in­ter­pre­ta­zio­ne del­la nor­ma vigen­te, evi­den­zia la neces­si­tà di un inter­ven­to legi­sla­ti­vo. Il dirit­to di fami­glia deve ade­guar­si alle tra­sfor­ma­zio­ni del siste­ma pre­vi­den­zia­le, garan­ten­do un equi­li­brio tra la liber­tà di scel­ta pre­vi­den­zia­le e la tute­la dei dirit­ti patri­mo­nia­li deri­van­ti dal matri­mo­nio.

Una pos­si­bi­le solu­zio­ne potreb­be esse­re l’e­sten­sio­ne del dirit­to alla quo­ta anche alle pre­sta­zio­ni pen­sio­ni­sti­che inte­gra­ti­ve, pro­por­zio­nal­men­te al perio­do di matri­mo­nio, oppu­re la pre­vi­sio­ne di mec­ca­ni­smi com­pen­sa­ti­vi alter­na­ti­vi che ten­ga­no con­to del valo­re attua­le del­le som­me tra­sfe­ri­te ai fon­di pen­sio­ne.

Conclusioni

La sen­ten­za del­la Cas­sa­zio­ne rap­pre­sen­ta un pun­to di svol­ta che avrà riper­cus­sio­ni signi­fi­ca­ti­ve sui rap­por­ti patri­mo­nia­li tra ex coniu­gi. Men­tre da un lato tute­la la liber­tà di scel­ta pre­vi­den­zia­le e rico­no­sce la diver­sa natu­ra giu­ri­di­ca del­le pre­sta­zio­ni pen­sio­ni­sti­che inte­gra­ti­ve, dal­l’al­tro rischia di crea­re dispa­ri­tà di trat­ta­men­to e di incen­ti­va­re com­por­ta­men­ti oppor­tu­ni­sti­ci.

La que­stio­ne dimo­stra come il dirit­to deb­ba costan­te­men­te ade­guar­si all’e­vo­lu­zio­ne del­la socie­tà e del­l’e­co­no­mia. In atte­sa di un pos­si­bi­le inter­ven­to del legi­sla­to­re, sarà la giu­ri­spru­den­za a dover trac­cia­re i con­fi­ni di que­sto nuo­vo equi­li­brio, caso per caso, con tut­te le incer­tez­ze che que­sto com­por­ta per i cit­ta­di­ni.

Per ora, una cosa è cer­ta: il tem­pi­smo è diven­ta­to un fat­to­re deci­si­vo nei rap­por­ti patri­mo­nia­li tra coniu­gi, e la cono­scen­za di que­ste rego­le può fare la dif­fe­ren­za tra il rico­no­sci­men­to o la per­di­ta di dirit­ti eco­no­mi­ca­men­te rile­van­ti.

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